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Diaconi News

“Il primo diacono è stato Gesù”

di Pino Grasso*

 

“Il primo diacono è stato Gesù”. Egli stesso lo afferma quando dice: “Il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10,45). “Chi vuol essere primo tra voi si faccia servo di tutti” (Mc 10,44). Ha esordito così padre Raniero Cantalamessa nella sua relazione dal titolo: “Per una spiritualità biblica del ministero diaconale” illustrata in occasione del XXII Convegno Nazionale dei Diaconi, svoltosi a San Giovanni Rotondo dal 3 al 6 agosto scorso, promosso dalla Comunità del diaconato in Italia.“Gesù dice di essere venuto sulla terra per essere e fare il diacono: la condizione servile diventa condizione di grandezza. Con Cristo c’è stata una inversione valoriale. Chi fa esperienza di Cristo testimonia, come San Paolo, come San Francesco, che ciò che apparentemente è amaro si rivela dolce e ciò che sembra pesante, in realtà è leggero. Nietzsche attaccava il cristianesimo perché Cristo ha esaltato il valore del servizio, che, a suo dire, frena il progresso dell’umanità. Ma Gesù non ha mai detto che non si deve essere primi, non lo ha mai condannato chi vuole essere grande, anzi ha dato la modalità: chi vuole essere primo si faccia servo. È stata grande Madre Teresa di Calcutta perché ha servito gli altri. È stato grande Padre Pio perché ha servito il Signore, anche nella sofferenza, dicendo “si” a quanti avevano fame e sete del Signore”.La Parola di Gesù è una Parola che rivoluziona le categorie umane. Gesù si rivolge a tutti, ma i diaconi sono chiamati, forse più di tutti, a mettere in pratica in maniera speciale ciò che Lui propone. Il diacono diventa così colui il quale ripropone il Cristo Servo.La riflessione che scaturisce può risultare molto interessante, in quanto si può riscoprire che il Servo (della traduzione CEI) corrisponde al Diacono (dell’originale testo greco). Questo passaggio sembra illuminante per fare chiarezza sul ministero diaconale, soprattutto se al posto del “servitore” leggiamo “diacono” restando così fedeli al testo greco. I teologi potrebbero ripartire da qui, per delineare il ministero del diacono. Dice, infatti, Gesù: "Voi sapete che i governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore, e chi vuole essere primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell'uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti".Molto interessante l’esortazione fatta da don Giuseppe Bellia, nella sua relazione “Il Diaconato: discernimento, formazione e stati di vita”. “Il cristiano, è chiamato da Cristo – ha detto - ad entrare in relazione con Lui, in una relazione viva, di completa sequela; solo seguendo Cristo potremo “servire” (Gv 12,26): servire Lui, servire gli altri, per essere i primi. È nei Sacramenti che incontriamo il Cristo vivo e soprattutto nell’Eucaristia facciamo comunione col Risorto”. Don Giuseppe ha invitato inoltre i diaconi a condurre “stati di vita” all’insegna della sequela di Cristo e a modellare, sia nella dimensione personale, sia familiare e comunitaria, stati di vita che guardando il passato si orientino al futuro permettendo di vivere il presente, “qui ed ora”.Al Convegno che ha avuto come tema “Diaconato e stati di vita: dal discernimento alla formazione” hanno partecipato diaconi, presbiteri, religiosi e laici tra cui le mogli che sono state impegnate in incontri, testimonianze e lavori di gruppo, tematica che si colloca in continuità con quella tenuta a Roma nel novembre scorso dalla Commissione Clero e Vita consacrata. Le relazioni ruotavano tutte attorno alla ministerialità del Sacramento nella ricerca del fondamento dell’essere diacono.

* Direttore dell’Ufficio diocesano delle Comunicazioni Sociali

Diacono e sposo intreccio di risorse

di Pier Luigi Gusmitta

 

Il Matrimonio ha una grande incidenza sul diaconato ed è di grande aiuto ad esso. Il diaconato è di aiuto alla freschezza del matrimonio. Con dinamismi diversi e complementari.

Dalla consacrazione diaconale e matrimoniale deriva la spiritualità del diacono permanente. Essa è caratterizzata da un intreccio profondo di dinamismi diversi e complementari, derivanti dai due sacramenti. Ha un'incredibile bellezza e costituisce una ricchezza per il diacono, per la sua famiglia, per la chiesa.

Spiritualità coniugale/familiare:  spiritualità del dono

* "Famiglia, credi in ciò che sei; diventa ciò che sei", cioè… icona della Trinità, mistero grande di Dio, volto attuale di Cristo sposo e della chiesa sposa, fantasia dello Spirito Santo.

* La spiritualità coniugale/familiare è affacciata al principio e radicata nel sacramento delle nozze. Si configura come sequela e imitazione di Cristo sposo, secondo un percorso ispirato al mistero eucaristico e pasquale; si snoda nell'obbedienza allo Spirito Santo.

* Affacciati al principio, gli sposi sono chiamati a contemplare con stupore il coniuge; vivere la cultura dell'alterità (frontalità e dono); gustare il reciproco esistere nell'amore del coniuge; interpretare il significato sponsale del corpo.

* Consacrati nel sacramento delle nozze, gli sposi sono chiamati alla sequela sponsale/familiare di Cristo: essi sono «il richiamo permanente di ciò che è accaduto sulla croce» (FC 13). Sono, quindi, impegnati a vivere: la logica del dono, lo slancio della fedeltà totale, il dono nel segno del corpo (conoscenza sponsale), la promozione dell'alterità e l'apertura alla reciprocità.

* Abitati dallo Spirito Santo, il quale avvia e custodisce il bell'amore e li aiuta a farsi dono reciproco, i coniugi sono chiamati a vivere in estasi d'amore secondo i ritmi della danza trinitaria: uscire da sé, perdersi nel dono, convergere nell'unità dell'amore. La preghiera condivisa è il respiro della vita coniugale. L'eucaristia nutre l'amore sponsale; la Riconciliazione lo rigenera.

* Il diacono sposato è impegnato a vivere «la diakonia dell'amore coniugale», cioè «a custodire, rivelare e comunicare l'amore, quale riflesso vivo e reale partecipazione dell'amore di Dio per l'umanità e dell'amore di Cristo sposo per la chiesa sua sposa» (FC 17).

• Il suo impegno fondamentale è, quindi, coltivare la relazione coniugale/familiare che è «simbolo reale della nuova ed eterna alleanza» (FC 13). È questo il primo servizio del diacono permanente alla chiesa ed al mondo: testimoniare, insieme con la moglie ed i figli, l'amore appassionato e sempre fedele di Dio per l'umanità.

• «I diaconi siano dignitosi, non doppi nel parlare, non dediti al molto vino né avidi di guadagno disonesto e conservino il mistero della fede in una coscienza pura… I diaconi non siano sposati che una sola volta (BJ: "mariti di una sola donna"), sappiano dirigere bene i propri figli e le proprie famiglie» (1Tm 3,8-9.12).

Il matrimonio non è un ostacolo al diaconato, ma lo alimenta dello stesso slancio d'amore nuziale che caratterizza il rapporto di Cristo con la chiesa.

Il diacono sposato offre un contributo importante alla trasformazione della vita coniugale/familiare.

L'arricchimento e l'approfondimento dell'amore sacrificale e reciproco tra marito e moglie costituisce forse il più significativo coinvolgimento della moglie di un diacono nel ministero pubblico del proprio marito nella chiesa.

L'amore, il sostegno e la collaborazione delle mogli rendono possibile la risposta fedele del diacono alla propria vocazione diaconale.

Spiritualità diaconale:  spiritualità del servizio

a) Il diacono riceve l'imposizione delle mani «non per il sacerdozio, ma per il servizio» (LG 29). È chiamato, quindi, a crescere nella totale disponibilità al dono. È persona esposta: esiste per Dio e per la comunità. Tale gratuità è anche il dinamismo fondamentale dell'amore coniugale. Il servizio diaconale dona qualità all'amore coniugale; l'amore coniugale dona il tocco della tenerezza al servizio diaconale.

b) Il diacono deve seguire e imitare Cristo nella diakonia. È chiamato a vivere una vera conformazione a Cristo, ricercando nell'imitazione di lui un modo di essere prima che di operare.

La spiritualità del servizio:

• Nasce a Nazaret: «Eccomi, sono la serva del Signore; avvenga di me quello che hai detto» (Lc 1,38). È abbandono totale alla volontà ed al progetto di Dio. È piena disponibilità a Dio. Non permette di cercare il proprio gusto ed il proprio tornaconto. Induce ad essere abbandonato al sogno d'amore che Dio coltiva per l'umanità, divenendo una carne sola con essa ed amandola sino alla fine, dando la vita per lei.

Il diacono è chiamato a servire il realizzarsi di questo sogno sponsale di Dio. Vivendo il ministero diaconale, si affaccia al «mistero grande» che già vive nel matrimonio.

Vivendo il matrimonio nella verità dell'amore fedele, dona slancio al proprio diaconato.

Interpretando il proprio diaconato nell'abbandono al progetto di Dio, introduce nuova vitalità nel matrimonio.

• Si precisa nella sequela di Cristo, servo e sposo della chiesa. È la sorgente della piena affermazione di sé, della vera grandezza: «Colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo, e colui che vorrà essere il primo tra voi, si farà vostro schiavo; appunto come il Figlio dell'uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti» (Mt 20,26-28).

Il diacono, seguendo Cristo, percorre la strada del servizio come dono totale di sé; si impegna a rigenerare il fratello (anche la moglie ed i figli).

c) Gesù sta in mezzo a noi «come colui che serve» (Lc 22,27). Egli è Dio con noi e per noi. È venuto ad amarci ad a dare se stesso per noi (Gal 2,20).

- Espone tale volontà in un gesto significativo: lava i piedi ai suoi (comunità). Invita all'imitazione: «Vi ho dato l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi» (Gv 13,15).

- Il modello è affascinante ed impegnativo: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» (Fil 2,5). Servire significa 1) vivere la kenosis (perdersi nel dono), 2) per fare fiorire di bellezza nuova il fratello, 3) così che proclami che Gesù Cristo è il Signore.

Questo è il vertice della libertà: «mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri» (Gal 5,13).

Il diacono segue Gesù, se lo imita nel suo atteggiamento di servizio. La sua veste liturgica per eccellenza è il grembiule, la veste del servizio.

d) L'orizzonte della diakonia, inizialmente delineato come «servizio alle mense», si è progressivamente allargato all'evangelizzazione ed alla corresponsabilità nella conduzione della comunità.

La diakonia, «instaurata nella struttura fondamentale della chiesa stessa», si esprime in un triplice compito: annuncio della parola di Dio, celebrazione dei sacramenti, servizio della carità.

La spiritualità del servizio è il cuore dell'esperienza diaconale, ma caratterizza anche l'esperienza della comunione familiare nella quale ogni persona è chiamata non solo a vivere con le altre, ma ad esistere per le altre. Nel servizio, diaconato ed esperienza coniugale e familiare si incontrano e si accendono a vicenda.

Diversi e complementari

a) Il matrimonio ha una grande incidenza sul diaconato ed è di grande aiuto ad esso. Il diaconato a sua volta è di aiuto alla freschezza del matrimonio. Ambedue sono organici e strutturali (essenziali) alla vita della chiesa ed ambedue sono orientati alla salvezza altrui, sono per la missione (per l'esportazione nel mondo dell'amore di Dio per l'umanità e della tenerezza di Cristo per la chiesa).

Gli sposi attualizzano, nella loro relazione, il rapporto sponsale che unisce Cristo alla chiesa. Sono resi dallo Spirito Santo capaci di amarsi e amare come Cristo ama la chiesa.

Gli ordinati sono chiamati a vivere amore sponsale con la chiesa-sposa: un amore puro e sempre fedele. La radice del servizio è la sponsalità. Si serve perché si ama. Si serve, amando in modo sponsale.

Il diacono sposato ha in casa la chiesa:

* Se vive e coltiva bene il suo matrimonio impara a fare il diacono, a servire la chiesa. Se fa bene il diacono, fa crescere il suo matrimonio. L'amore per la moglie è per il diacono la prova permanente del suo amore per la chiesa.

* La moglie, amando il marito diacono, può farlo diventare un grande diacono (capace di amare alla grande). Chi sa farsi uno con la moglie sa farsi uno anche con il corpo di Cristo che è la chiesa.

* Gli sposi attualizzano l'amore totale di Cristo che si incarna, si offre nella pasqua, dona lo Spirito Santo nella pentecoste.

Il diacono/sposo

* ama fino in fondo la realtà concreta del coniuge (incarnazione: Cristo ama tutta la chiesa nella sua bellezza e nella sua povertà, gratuitamente);

* ama spendendo tutto se stesso nel dono (pasqua: Cristo si perde nel dono alla chiesa, assumendo tutta la realtà concreta di essa; la rende sempre più bella);

* ama in modo fecondo (pentecoste: Cristo ama la chiesa, effondendo in essa la carezza dello Spirito Santo che è fecondatore).

Il servizio più bello che il diacono può fare alla chiesa è ridare alla chiesa il volto di Sposa di Cristo. Per questo servizio è vitale l'apporto della sposa.

b) Paolo sta parlando ai Corinzi degli idolotiti (i cristiani possono mangiarne?) e, difendendo il suo apostolato, dice che la carità deve prevalere sempre. In tale contesto, afferma: «Non abbiamo il diritto di portare con noi una donna credente (donna sposata), come fanno anche gli altri apostoli ed i fratelli del Signore e Cefa?» (1 Cor 9,5).

La funzione di tali donne è la seguente: alleggerire gli apostoli dei problemi materiali ed offrire una testimonianza di vita coerente con il vangelo annunziato dal coniuge.

La totalità del dono, propria dell'amore coniugale, richiede che la moglie condivida il cammino spirituale che il marito compie nell'esercizio del diaconato.

Nessuna divisione può essere causata dal servizio diaconale del marito: sarebbe un'offesa al progetto primordiale donato da Dio che chiama i due ad esistere «in una sola carne».

c) La complementarietà nella coppia diacono-moglie ha anche una sua espressione giuridica nel consenso che la moglie dà all'ordinazione del marito (CJC 10031, 2).

Con tale consenso, la moglie non solo permette al marito di accedere al diaconato, ma accetta di ricevere nel suo matrimonio la grazia del diaconato del marito. Ella sarà la moglie di un ministro di Dio.

Il consenso della moglie è accettazione del dono della grazia (diaconato del marito) che incide spiritualmente anche sulla donna, legata al diacono per il matrimonio.

È un contributo all'espansione della grazia del diaconato: il diacono può esplicare il suo ministero solo se la moglie consente e favorisce.

Esiste un'evidente analogia tra il fiat di Maria (permette al Verbo di farsi carne) e il consenso della moglie del diacono all'ordinazione del marito. Esso è un sì che rinnova la vita matrimoniale poiché la introduce più intimamente nel "mistero grande" dell'Amore.

d) Il diacono e sua moglie devono condurre una vita da consacrati e da sposi innamorati che ogni giorno si ripetono: «Mettimi come sigillo sul tuo cuore» (Ct 8,6).

La moglie del diacono è una donna credente, innamorata, coinvolta nell'opera missionaria dell'apostolo (marito diacono). È sostegno, stimolo, consiglio per il marito. È attiva nella chiesa soprattutto attraverso il dono che fa del marito alla chiesa.

Il frutto di questo ministero condiviso è una famiglia che accoglie, sa ascoltare, parla di Dio, cura le necessità quotidiane (Aquila e Prisca: At 18,1-3.18-26).

e) Diaconato e matrimonio non sono in conflitto, ma si rafforzano a vicenda. Si sceglie insieme di costruire una famiglia; si decide insieme di vivere il diaconato. Tale scelta libera comporta responsabilità e si manifesta nella fedeltà reciproca. Nel matrimonio si vive la gratuità del dono per il bene dell'altro. Nel diaconato ci si dona reciprocamente ed insieme ci si dona a Cristo e alla chiesa.

f) Il diaconato permanente getta un ponte tra ordine e matrimonio. Si pongono degli interrogativi precisi:

- Come il sacramento dell'ordine, conferito solo al marito (diaconato), incide sulla vocazione matrimoniale dei coniugi?

- Come organizzare praticamente la vita familiare e gli impegni diaconali?

- Quale rapporto esiste tra il matrimonio e l'ordine in ordine alla santità?

Il sacramento del matrimonio «riprende e specifica la grazia santificante del battesimo» (FC 56). La vocazione alla santità avviata nel battesimo è ulteriormente definita nel matrimonio. Se i due sono diventati «uno nel Signore», la loro vita non può prescindere da questa realtà duale.

Il sacramento dell'ordine è un dono di grazia a beneficio della comunità. Tale dono si innesta sull'albero già cresciuto della vocazione sponsale. La moglie non può disinteressarsi della diakonia del marito o questi non può limitarsi a destinare un segno settimanale alla diakonia, ignorando la propria vita coniugale/familiare. Il diaconato coinvolge profondamente i coniugi, incidendo sulla loro vita spirituale che è vita spirituale di coppia/famiglia.

L'ordinazione diaconale è conferita allo sposo, ma tutta la famiglia è chiamata a vivere, secondo la possibilità di ciascun componente, la diakonia profetica (ascoltare, interiorizzare, incarnare, testimoniare la Parola), sacerdotale (pregare in famiglia e vivere il quotidiano come culto spirituale), della carità(rendere visibile nel mondo l'amore sponsale di Dio per l'umanità).

Sacra è la liturgia, ma «culto spirituale» è la concreta vita coniugale/familiare vissuta nell'amore.

Il diacono sperimenta nella vita coniugale/familiare il rapporto nuziale Cristo-chiesa. È chiamato, quindi, ad imprimere nella pastorale della chiesa quel carattere nuziale che rivela il suo cuore di sposa di Cristo e di famiglia di Dio.

Impegni concreti

Impegno fondamentale della famiglia del diacono è, quindi, servire e migliorare la relazione coniugale/familiare, mettendola al primo posto.

«Il servire è una dimensione dell'intera esistenza, non un frammento del nostro tempo o del nostro agire. E questo perché servire tocca la persona, non semplicemente le sue azioni e le sue cose. Servire è un modo di esistere, uno stile che nasce dal profondo di se stessi. È a questa profondità (cioè nel proprio modo di pensare e di ragionare più che di fare) che ci si deve costantemente interrogare, se davvero si vuole imparare a servire».

Il Signore ha guidato lo sposo/diacono a costruire una famiglia con la propria sposa. Il diacono è chiamato ad amare gli altri insieme con la propria moglie. Solo la fedeltà all'impegno di vivere nell'amore la relazione coniugale/familiare permette di vivere la diakonia verso i propri familiari e verso tutti i fratelli.

Ogni giorno la coppia diaconale è impegnata a scoprire la grazia che deriva dal matrimonio e dall'ordine e a riconoscere l'intreccio vitale che intercorre tra i due sacramenti che generano vitalità l'uno nell'altro.

I due sposi sono «una carne sola», coinvolti l'uno nella storia dell'altro. La sposa è partecipe della nuova condizione dello sposo/diacono. In un certo senso la coppia diventa «diaconale». Uno degli sposi è ordinato diacono, ma lo Spirito Santo effuso accarezza tutta la coppia. Nell'unità e nell'intimità coniugale, la sposa misteriosamente condivide con il suo sposo il sacramento da lui ricevuto.

Alle spose è richiesto un concorso della fede, un atto libero e responsabile di accoglienza del disegno di Dio sul proprio sposo e sul proprio matrimonio. È evidente l'analogia con l'incarnazione. «L'incarnazione fu non soltanto l'opera del Padre, ma anche l'opera della volontà e della fede della Vergine. Senza il consenso della purissima, senza il consenso della sua fede, quel disegno era irrealizzabile. Come voleva incarnarsi, così voleva che sua madre lo generasse liberamente con pieno consenso» (Nicola Cabasilas).

La coppia diaconale è chiamata ad una vita sponsale che sia segno visibile dell'amore sponsale di Cristo per la chiesa. Essa deve testimoniare amore fedele, fecondo, educante. È impegnata a vivere la diakonia e la communio personarum, immergendosi sempre più nel mistero della nuzialità.

Benedetto XVI, Deus caritas est 21.

Maggioni B., La pazienza del contadino.

La sacramentalità del Diacono

di Enzo Petrolino*

 

PREMESSA

L’approfondimento della sacramentalità del Diaconato ha costituito in questi anni post-conciliari uno degli elementi più interessanti della riflessione teologica sul diaconato. A questo aspetto il documento della CTI “Il Diaconato: evoluzione e prospettive” dedica tutto il Cap. IV e una sezione del Cap. VII, quando nella II parte tratta appunto delle Implicazioni della sacramentalità del diaconato.Rispetto a tale questione si coglie nel documento un atteggiamento di immeditata apertura e di attenta riflessione: “La sacramentalità del diaconato” - viene detto - “è un problema che rimane implicito nelle testimonianze bibliche, patristiche e liturgiche da noi sin qui esposte. Occorre vedere come la Chiesa ne ha preso coscienza esplicita”. Sulla base di questa premessa, prende l’avvio un accurato excursus storico che abbraccia un lungo periodo, dal XII al XX secolo, in cui il diaconato costituisce solo una tappa verso il presbiterato. Si passa così da S. Tommaso d’Aquino a Trento, fino alle soglie del Concilio Vaticano II. Ma torniamo alla questione che sta al cuore del documento stesso, ossia quella della sacramentalità e delle implicazioni che ne conseguono. Anche se nel dibattito conciliare che ha portato al ripristino del ministero diaconale non c’è stata un’unanimità rispetto a tale problematica, tanto che il Concilio stesso non è riuscito a dissipare tutte le incertezze emerse durante le discussioni, non vi è dubbio che la maggioranza ha sostenuto la natura sacramentale del diaconato: tra i documenti conciliari (cfr: SC, 86; LG, 20,28,29,41; OE, 17; CD, 25; AG, 15, 16) l’affermazione riferita più direttamente alla sacramentalità del diaconato sicuramente rimane LG 29a, dove si dice che “sostenuti dalla grazia sacramentale” (Gratia enim sacramentali roborati) i diaconi esercitano la diaconia della Parola, della Liturgia e della Carità, e a tale affermazione può aggiungersi AG 16f, dove si auspica la restaurazione “dell’ordine diaconale come stato permanente” poiché “è bene che uomini che già esercitano un ministero veramente diaconale … siano conformati e stabilizzati per mezzo della imposizione delle mani … per poter esplicitare più fruttuosamente il loro ministero con l’aiuto della grazia sacramentale del diaconato”.Il documento richiama, inoltre, 5 testi postconciliari che hanno sviluppato la questione della sacramentalità del diaconato: i due motu proprio di Paolo VI Sacrum diaconatus ordinem (‘67) e Ad pascendum (‘72), il Codice di DC (can. 1008-1009), il Catechismo della Chiesa Cattolica ed infine la Ratio fundamentalis (‘98). Viene altresì riportata la posizione di alcuni teologi rispetto a tale questione, in particolare quella del canonista Beyer che, in un articolo del ‘97 apparso su “Quaderni di Diritto ecclesiale”, commenta i testi conciliari nell’ottica di una problematicità che io qui semplicisticamente sintetizzo citando dal documento stesso l’espressione “incertidudo doctrinae”, perché –così viene detto – “per assicurare la natura sacramentale del diaconato non basta né l’opinione maggioritaria dei teologi, né la sola imposizione delle mani, né la sola descrizione del rito di ordinazione”. Ma proprio da questo ultimo punto, invece, io vorrei partire per riflettere sulla possibilità di approfondire l’importante problematica della sacramentalità del diaconato attraverso un’attenta (ri)lettura del Rito di Ordinazione[1], pubblicato da Paolo VI subito dopo il Concilio e promulgato in lingua italiana dalla CEI nella prima editio typica del 25 No­vembre 1979 e, successivamente, nella seconda del 29 novembre 1992. Si tratta di un percorso importante per la nostra riflessione, non solo perché il Rito manifesta il dettato conciliare sulla liturgia, ma perché esso significa una sorta di esplicitazione del cap. III della Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium. Tutto questo assume una connotazione particolare in ordine alla teologia del Ministero ordinato così come si è delineata durante il Concilio e successivamente nell’immediato post-concilio. Il noto “adagio” teologico Lex orandi - Lex credendi[2] ci dice come il dispiegarsi delle acquisi­zioni teologiche sul Ministero ordinato sono assunte nel contesto vitale della preghiera liturgica.I vescovi italiani, a tale proposito, nelle Premesse al Ri­to (I editio typica) scrivono: «La pubblicazione in lingua italiana del rito dell’Ordinazione del Vescovo, dei Presbiteri e dei Diaconi vuole essere non solo necessario adempimento della riforma liturgica, ma anche un invito ad una rinnovata catechesi, di cui la liturgia è fonte inesauribile, sul significato e l’importanza dei mini­steri nella vita della Chiesa».Gli aspetti essenziali sulla sacramentalità ed identità del diaconato che emergono dalla preghiera di ordinazione si collocano dentro un preciso contesto “evocativo (anamnesi), consacratorio (epiclesi) ed invocativo (intercessioni): la preghiera presenta in ef­fetti quelli che sono gli elementi fondamentali relativi all’identità teologica del diacono: a) il suo inserimento nel mysterium salutis, nella continuità del mistero fondamentale di Cristo e della Chiesa entro cui si colloca in modo inseparabile il Ministero ordinato nei suoi tre gradi; b) la sacramentalità specifica dell’ordo diaconalis sia come ordinazione che come ordine proprio e permanente nella Chiesa; c) la spiritualità tipicamente ministeriale del diacono e le virtù che gli sono richieste per il compimento della sua missione” [3]. Sono queste le tre coordinate teologiche essenziali che, a mio avviso, bisogna cercare di verificare ed ulteriormente approfondire.Il legame indissociabile tra Chiesa e Ministero ordinato viene evidenziato dalle stesse «Premesse» del Rito in relazione a tre dati eccle­siologici fondamentali: la sacramentalità della Chiesa, ossia il suo essere sacramento di Cristo, attraverso un armonico e reciproco interagire – nell’accoglienza dei doni dello Spirito – «di ministeri di presidenza e di servizio nelle assemblee del popolo cristiano radunato per la glorificazione di Dio e la santificazione degli uomini» (Premesse II, 1); la sua natura costitutivamente «koinonica», ossia il suo essere “per natura” una comunione, un corpo articolato secondo una varietà di ministeri e di carismi liberamente suscitati e largamente distribuiti dallo Spirito per la crescita ed il bene comune: «La preghiera di ordinazione dei diaconi fa risaltare questa realtà della Chiesa: corpo del Cristo, varia e molteplice nei suoi carismi, artico­lata e compatta nelle sue membra, che mediante i tre gradi del mini­stero cresce e si edifica come tempio vivente in comunione di fede e di amore» (II, 2); la complementarietà tra sacerdozio ministeriale e sacerdozio comune dei fedeli, ossia l’intimo rapporto di reciprocità in termini di servizio che unisce i ministri ordinati e tutti i fedeli nella comunione della vita ecclesiale – Popolo dei salvati in Cristo: «I Vescovi, successori degli Apostoli, per esercitare in modo pieno ed efficace il ministero, devono essere coadiuvati dai presbiteri e dai diaconi e inoltre da vari ministeri e ca­rismi, suscitati dallo Spirito secondo i bisogni dei luoghi e dei tempi, che è loro compito discernere, promuovere e valorizzare» (II, 3).Anche se è detto nelle Premesse del Rito che i Diaconi sono animatori della vocazione di servizio della Chiesa, in comunione con il Vescovo e con il suo Presbiterio (IV, 3), rimane il fatto che in ciascuno dei tre gradi dell’ordine «sono, in modo particolare, configurati al Signore Risorto dal segno del carattere indelebilmente impresso nelle loro persone e sono impegnati a realizzare una unione sempre più intima con lui di cui sono strumenti nella grande opera di salvezza» (V). Già Paolo VI nell’esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi afferma che l’opera dell’evangelizzazione impegna «i nostri fratelli nell’Episcopato alla guida delle chiese particolari, i Presbiteri e i Diaconi, uniti con i propri Vescovi, di cui sono coope­ratori, mediante una comunione che ha la sua sorgente nel Sacramento dell’Ordine sacro e nella carità stessa della Chiesa» (EN 68).

 

LA SACRAMENTALITÀ DEL DIACONATO NELLA PREGHIERA DI ORDINAZIONE

La preghiera di ordinazione richiama più volte e in forme diverse il “carattere indelebile” che il Rito imprime nel “consacrato/diacono”, tanto da costituire quasi – nel suo articolarsi – una sorta di graduale esplicazione della sacramentalità specifica del ministero diaconale: «In antico scegliesti i figli di Levi a servizio del tabernacolo santo. Agli inizi della tua Chiesa gli apostoli del tuo Figlio, guidati dallo Spirito Santo, scelsero sette uomini stimati dal popolo, come collaboratori nel ministero. Con la preghiera e con l’imposizione delle mani, affidarono loro il servizio della carità, per potersi dedicare pienamente all’ora­zione e all’annunzio della parola». Nel momento invocativo dell’effusione dello Spirito sul candidato, la preghiera di ordinazione diaconale è “una vera e propria consacrazione di ordine sacramentale” :«Ora, o Padre, ascolta la nostra preghiera: guarda con bontà questo tuo figlio che noi consacriamo come diacono, perché serva al tuo altare nella santa Chiesa. Ti supplichiamo, o Signore, effondi in lui lo Spirito Santo, che lo fortifichi con i sette doni della tua grazia, perché compia fedelmente l’opera del ministero».«Queste parole - dice Ferraro - costituiscono la formula essenziale dell’ordine diaconale, sono richieste per la validità dell’ordinazione e insieme con tutta la pre­ghiera di ordinazione specificano l’imposizione delle mani comune ai tre ordini secondo la grazia propria dell’ordine del diaconato. Tutta la preghiera di ordinazione è la “forma” del sacramento dell’Ordine nel grado in cui viene conferito. La fissazione di una parte come essenziale per la validità è disposizione positiva della suprema auto­rità apostolica».[4] Nella preghiera di ordinazione, dunque, il dono dello Spirito invocato sul candidato è differente da quello ricevuto da ogni credente col Battesimo e con la Cresima: esso opera in lui una trasformazione, rendendolo soprannaturalmente somigliante a Cristo Servo e capace di rappresentarlo sacramentalmente nella Chiesa – al cui servizio egli porrà tutto il suo essere – e nel mondo – dove egli sarà segno visibile della “diakonia” del Signore.Il dono dello Spirito, quindi, imprime nel diacono un indelebile carattere sacramentale ed è per la sua vita ministeriale fonte di grazia. Il riferimento dell’epiclesi ai “sette doni dello Spirito” esprime proprio questa abbondanza di effetti spirituali. In questa luce si recupera anche il significato della dottrina sul carattere sacramentale elaborata dalla Scolastica in relazione all’effetto permanente del Battesimo, della Cresima e dell’Ordine sacro. Secondo san Tommaso[5], infatti, rispetto ai primi due sacramenti, che già conferiscono “il potere spirituale ricompiere alcune azioni sacre” e “una certa partecipazione al sacerdozio di Cristo”, l’Ordine conferisce il potere di amministrare i sacramenti agli altri fedeli; non solo, ma è proprio l’ordinazione diaconale – egli continua –che conferisce al candidato il “carattere sacramentale” e lo abilita a quei compiti che competono solo a lui e non ai fedeli laici: «Alcuni affermano che solo nell’ordine sacerdotale viene im­presso il carattere. Ma ciò non è vero, perché nessuno che non sia diacono può lecitamente compiere atti del diacono. Ed è perciò chiaro che egli ha nell’amministrazione dei sacramenti un potere che altri non hanno». La configurazione a Cristo attraverso l’ordinazione sacramentale avviene in modo tale che «ogni ministro è immagine di Cristo sotto un determinato aspetto».L’ordinazione diaconaleL’ordinazione diaconale, dunque, non è paragonabile a una qualche delega o deputa­zione da parte della comunità; al contrario, essa è una vera consacrazione – stato di vita permanente – che rende l’ordinato segno e strumento sacramentale del Salvatore a servizio del popolo di Dio in cammino nella storia. L’inclusione del diacono nel Ministero ordinato, si colloca nella partecipazione propria alla sacramentalità dell’episcopato, il quale racchiu­de la pienezza del Sacramento dell’Ordine (LG 21), pienezza che solo questo ministero può trasmettere al pre­sbitero e al diacono. Giustamente qualcuno osserva che il sacramento dell’Ordine va inteso, oltre che come “ascendente” – conferibile cioè per gradi successivi dal diaconato fino all’epi­scopato, – innanzitutto come “discendente”, perché istituito da Cristo stesso e reso effettivo dalla missione dello Spirito, trasmesso agli Apostoli, che a loro volta lo hanno comunicato ai loro successori, i vescovi, i quali lo partecipano ai presbiteri e ai diaconi secondo i loro rispettivi gradi.Proprio per questo, l’ordine sacramentale del diaconato è in se “compiuto” e “permanente” e la sua sacramentalità si innesta direttamente su quella del ministero episcopale, del quale il ministero diaconale è partecipazione e collaborazione. Tutto ciò può ovviamente assumere valore, credibilità e significato anche pastorale solo all’interno di una “comunione vissuta” non solo con il Vescovo, ma anche con il presbitero, secondo la già citata affermazione della Lumen Gentium al n. 29: “sostenuti dalla grazia sacramentale, nel ministero della liturgia, della predicazione e della carità, servono il popolo di Dio, in comunione col Vescovo e il suo presbiterio”.Anche se la partecipazione sacramentale del diaconato al ministero del Vescovo è diversa da quella del presbiterato, è tuttavia pienamente reale ed ha un suo “proprium”, una sua specificità: essa si configura, infatti, come “assistenza” ai vescovi e ai presbiteri e come “servizio insostituibile” all’intera comunità ecclesiale. «Non ad sacerdotium, sed ad ministerium»Un problema particolare che in questi anni si è tanto dibattuto sulla teologia del diaconato e che lo stesso documento affronta ai nn. 3 e 4 della III parte del Cap. VII riguarda l’identità teologica del Diaconato. L’interrogativo che viene posto è quello di come va intesa la formula conciliare (LG 29) secondo la quale le mani ai diaconi sono imposte «non per il sacerdozio, ma per il ministero»Come si sa la frase è presa dalle Constitutiones Ecclesiae Aegyptiacae le quali sono un adattamento della Traditio Apostolica di Ippolito. Nel testo delle Constitutiones si dice precisamente: “non ad sacerdotium, sed ad ministerium episcopi”. Negli Statuta Ecclesiae antiqua l’espressione entra senza il genitivo “episcopi”; formula che successivamente è entrata nel Rito di ordinazione del Pontificale Romano.Sicuramente il testo così come lo troviamo nella LG esprime un dato teologico presente nella tradizione della chiesa, quello di evidenziare che al diacono non spetta la presidenza dell’Eucaristia e l’assoluzione sacra­mentale. Questa preoccupazione ha indubbiamente inficiato per un verso la ricerca teologica sul ministero diaconale. Anche se il documento della CTI dice che “il Vaticano II non fa alcuna affermazione esplicita a proposito del carattere sacramentale del diaconato” (Cap. VII, II – 2), sicuramente c’è da ricordare che la Lumen Gentium dice che nella Chiesa esistono due ordini di sacerdozio, il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico, distinti essenzialmente tra loro, e non solo di grado, e insieme profonda­mente ordinati l’uno all’altro: «II sacerdozio comune e il sacerdozio ministeriale o gerarchico, quantunque differiscano essenzialmente e non solo di grado, sono tuttavia ordinati l’uno all’altro, poiché l’uno e l’altro, ognuno a suo modo, partecipano dell’unico sacerdozio di Cristo» (LG 10). Ora, se il ministero diaconale è “un grado gerarchico proprio e perma­nente della Chiesa”, conferito attraverso il Sacra­mento dell’Ordine, è chiaro che l’espressione va letta non come esclusione del diacono dalla partecipazione ministeriale al sacerdozio di Cristo, bensì come chiarificazione dei “compiti” ministeriali – il diacono non può presiedere l’eucaristia e riconciliare sacramentalmente i battezzati con la Chiesa e con Dio – e distinzione propria della sua adesione sacramentale a Cristo rispetto a quella battesimale che accomuna gli altri fedeli.Inoltre è da tenere presente che la formula “ …non ad sacerdotium, sed ad ministerium” ha una sua particolare connotazione cultuale che richiama il “proprium” del ministero diaconale, cioè la diakonia. Un “servizio” che ha uno stretto legame al sacerdozio ministeriale del Vescovo e dei Presbiteri e si congiunge al sacerdozio comune di tutti i fedeli. Una diakonia che ha la sua fonte ed il suo culmine nel servizio al banchetto della Parola e dell’Eucaristia e con il servizio ai poveri.Ci si potrebbe a questo punto chiedere: il ministero “sacerdotale” dei diaconi, allora, può considerarsi come una sorta di ministero intermedio? Il documento della CTI non è d’accordo nell’attribuire al diacono la funzione mediatrice o di ponte tra la gerarchia ed il popolo. L’espressione “medius ordo” si trova soltantanto nel motu proprio Ad pascendum . Per la CTI sarebbe un errore teologico identificare il diaconato in quanto “medius ordo” con una specie di realtà (sacramentale?) intermedia tra i battezzati e gli ordinati, perché – sempre secondo il documento – non è teologicamente esatto fare ti tale compito di mediazione l’espressione della sua natura teologica o della sua specificità.

 

DALLA PREGHIERA DI ORDINAZIONE ALLA SPIRITUALITÀ DI SERVIZIO

La preghiera di ordinazione diaconale esplicita in maniera chiara il significato fondamentale della diaconia ministeriale, che è quella del servizio. Il diacono è chiamato ad essere presenza e segno del Signore Gesù-Servo del Padre, il quale non venne per essere servito ma per servire. Ed il suo ministero si colloca all’interno dei tre alvei costitutivi la vita della Chiesa: la liturgia, l’evangelizzazione e la testimonianza della carità.Infatti la LG, elencando i compiti che possono essere affidati ai diaconi, afferma che «È ufficio del Diacono, amministrare solennemente il battesimo, conservare e distribuire l’eucaristia, in nome della Chiesa assistere e benedire il matrimonio, portare il Viatico ai moribondi, leggere la Sacra Scrittura ai fedeli, istruire ed esortare il popolo, presiedere al culto e alla preghiera dei fedeli, amministrare i sacramentali, dirigere il rito funebre e della sepoltura. Essendo dedicati agli uffici di carità e assistenza, i Diaconi si ricordino del monito di san Policarpo: “Mise­ricordiosi, attivi, camminanti nella verità del Signore, il quale si è fatto servo di tutti” » (LG 29).Non c’è dubbio che la spiritualità del diacono è essenzialmente in modo radicale una spiritualità di servizio. Nel motu proprio AP (Intr.), Paolo VI dice appunto che il diacono è “animatore del servizio, ossia della diaconia della Chiesa, presso le comunità cri­stiane locali, segno e sacramento dello stesso Cristo Signore, il quale non venne per essere servito, ma per servire”. Anche se il documento della CTI – giustamente – sottolinea che questa dimensione è denominatore comune di tutti i ministeri nella Chiesa, è pur vero che per il diacono essa è lo specifico. Avevano visto bene i vescovi italiani nel lontano 1977 quando, nella nota Evangelizzazione e Ministeri, affermavano che “Col ripristino del Diaconato permanente la Chiesa ha la consapevolezza di accogliere un dono dello Spirito e di immettere così nel tessuto del corpo eccle­siale energie cariche di una grazia peculiare e sacramentale, capaci perciò di maggiore fecondità pastorale” (CEI EM, 60).Infine, dalle premesse al Rito di ordinazione possiamo cogliere non solo che lo Spirito Santo è il principio fontale dei Ministeri ordinati nella Chiesa, ma anche come il diacono sia configurato a Cristo Servo: «è la diaconia del Cristo il principio costitutivo ed esemplare dei Ministeri ordinati; ad essa si richiamano le significative immagini che esprimono la missione affidata dal Padre al Verbo fatto uomo. Esse illuminano la precisa fisionomia della missione e della vita del Popolo di Dio e la pro­spettiva essenziale dei ministeri e della spiritualità che li anima» (Premesse, I). Dunque l’aspetto proprio e specifico della missione del diacono è, come è stato già precedentemente sottolineato, quello del servizio, egli è l’icona vivente della diaconia stessa del Cristo Signore.Se questa ministerialità è di tutta la Chiesa nel suo insieme e dei singoli ministeri nella loro specificità, i diaconi sono “espressione e animazione” particolare, così come è sottolineato dalla preghiera di ordinazione nella quale emerge la caratterizzazione teologia ed ecclesiologia del ministero diaconale: «Sia immagine del tuo Figlio, che non venne per essere servito, ma per servire».Vorrei concludere questa riflessione con un pensiero di don Alberto Altana, che nel suo libro “Vocazione cristiana e ministeri ecclesiali” ha colto e indicato in modo chiaro ed essenziale il senso della sacramentalità del diacono nella vita della Chiesa: “Se tutti i ministeri sono servizi, il diacono è il servo per antonomasia, il consacrato al servizio. Egli partecipa del ministero del vescovo, per l’aspetto in cui questo implica una rappresentanza di Cristo servo. Il diacono pertanto è:rappresentante di Cristo servo nella comunità, e perciò:animatore della comune vocazione al servizio.In tal modo il diacono diventa “segno sacramentale” di Cristo servo e della diaconia comune del popolo di Dio. Il vescovo infatti è “segno” di Cristo servo, oltre che di Cristo capo. Certamente questi due aspetti della rappresentanza di Cristo si implicano, perché l’autorità di Cristo è servizio. Ma nel loro pro­lungarsi in coloro che partecipano al ministero episcopale, questi due aspetti si distinguono nel segno sacramentale. Il diacono dunque è segno di Cristo servo in quanto prolunga la diaconia del Vescovo”.

[1] Cfr. C. Rocchetta, L’identità teologica del diacono nella preghiera di ordinazione, in AA.VV. Il diaconato permanente, Napoli, 1983

[2] Famoso detto di Prospero di Aquitania: il modo in cui si prega nella liturgia indica ciò che si deve credere; e ciò che si deve credere influisce sul modo di pregare; la liturgia è, o implica, un certo modo di proporre la fede all’adesione dei fedeli, ed è, o im­plica, una certa espressione di questa fede del popolo. Si aggiunge: la liturgia è il luogo ordinario della manifestazione della nostra fede.

[3] Cfr. C. Rocchetta, L’identità teologica del diacono nella preghiera di ordinazione, in AA.VV. Il diaconato permanente, Napoli, 1983

[4] G. Ferraro, Le preghiere di ordinazione al diaconato, al presbiterato e all’episcopato, Napoli 1977, p. 28

[5] Commento alle sentenze, art. 2, III, 4

*Presidente Assemblea diaconi

 

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